lunedì 12 maggio 2014

Ricordi di un viaggio. Al profumo d'Oriente.

Certe volte mi prende una strana nostalgia.
Nostalgia... per le cose già vissute, e per quello che non ci sarà.
Nostalgia di qualcosa di che in realtà non ho vissuto pienamente, ma a metà.
Come un solo morso al proprio dolce preferito che ti viene tolto via dalle mani.
Ecco, qualcosa di abbandonato troppo in fretta.
Come una città in viaggio. Un solo giorno, pienissimo di cose fatte, viste, provate, mangiate, kilometri camminati, ma sempre un solo giorno.
Come Granada.

Quasi due anni fa, era il Luglio del 2012.
Dopo le 'fatiche' degli ultimi esami all'Università di Oviedo io e la mia amica decidiamo che non possiamo tornare in Italia senza aver visto il Sud della Spagna, senza esser state prima in Andalusia.
Così, armate di ipod vari ed eventuali con le nostre playlist fatte da Beatles, Ligabue, Gustavo Lima e il suo TchèTchèrechè, le hit spagnole e latine del momento: como tu no hay dos, una vaina loca, hasta que salga el sol, colgando en tus manos, e più di tutti i Negrita con l'album Dannato Vivere, partiamo senza programmare nulla. Viaggiamo di notte, dormiamo sulla spiaggia, ci laviamo all'aeroporto, andiamo a ballare col costume, beviamo birra per mangiare tapas, ci godiamo il sole fino all'ultimo raggio e il tempo senza fretta, facciamo figuracce, scattiamo foto sin parar, scrocchiamo wifi e mappe delle città, ma soprattutto ci perdiamo, sempre!
Una città dopo l'altra, scelte col cuore, senza razionalità: Madrid, Granada, Malaga, Marbella e Sevilla.

Ma quella che mi è rimasta dentro più di tutte è Granada.
La città magica, dove tutte le strade profumano di Oriente, dove il sole batte forte, le case sono bianche e senti la libertà ovunque intorno a te.
Con l'Alhambra a fare la guardia, a vegliare sulla città. Fontane, finestre sul mondo, stanze del sultano, giardini verdi e torri.
Quella stradina che sa di thè e di spezie, i colori brillanti delle stoffe pregiate, mille gingilli e souvenir tintillati, lampade che sembrano arrivare direttamente dalla fiaba di Aladdin.
In quei vicoli stretti, nel suo sali-scendi lungo l'Albayzìn, con portoni dalle forme arabeggianti del color degli agrumi fino ad arrivare al belvedere che si affaccia sull'Alhambra.
E quando cala la sera e si accendono le luci ti ritrovi in un qualche racconto da Mille e una Notte, sorseggiando vino e mangiando pesce su divanetti pieni di cuscini.
Ma per tutte le favole arriva la fine... e si torna in ostello per chiudere la valigia e viaggiare verso altre mete.
Fino a ritrovare se stessi.

Manu





























(Fonte: Emanuela Napoli Photo)
(Tutti i diritti riservati ©)



mercoledì 7 maggio 2014

Sentirsi a casa. Essere a casa.

Ieri sera ho avuto l'occasione di scrivere un articolo sulla mia cara Pisciotta per il sito ItalyZapping (link dell'articolo qui) e mentre mi districavo tra parole, pensieri e foto (tutte esclusivamente fatte da me) da inserire, la mia mente vagava da sola in anfratti nascosti e un po' dimenticati della mia memoria.
Le immagini scorrevano per ogni descrizione, come se mi trovassi tra quei vicoli, sotto il sole e stessi percorrendo realmente la strada sotto i miei piedi e stessi davvero incontrando le persone che caratterizzano la 'mia' Pisciotta, quella che ricordo da bambina, quelle che se penso al piccolo borgo sono sempre lì, anche se alcune purtroppo non ci sono più, come i miei nonni Anella e Gabriele.
Vedo Don Peppe, il nonno di mio cugino, che torna poco dopo l'alba dalla pesca notturna delle alici ed ha sempre con sé un sacchettino da lasciare a mia nonna che subito si adopera per pulirle e prepararle per il pranzo. E le fa in tutti i modi e per tutti i gusti: marinate con solo limone e aceto, 'ndurate e fritte (passate nella farina e poi fritte) e quelle 'mbuttunate ossia due alici aperte con in mezzo una sorta di frittatina e poi passate in umido con un po' di pomodorini. O almeno è sempre così che lei le preparava e chiamava. E poi c'è mio nonno che preparava il caffè, il più buono del mondo (era barista da giovane), con l'anice che aveva sempre in dispensa, e lo offriva a Don Peppe che si fermava da noi per due chiacchiere in compagnia prima di tornare a casa sua.
Uno dei personaggi che ricordo da piccolissima ed ancora oggi è parte fondamentale della vita pisciottana è Antonio, il fruttivendolo. Con il suo camioncino, da anni, arriva a Pisciotta con frutta e verdura sempre freschissime e, ieri con mia nonna, oggi con mia mamma, ci fiondiamo fuori casa col borsellino dei soldi sotto braccio per scegliere i pezzi migliori ed immancabile è l'anguria, il melone rosso, spaccata a metà perché altrimenti non entra in frigo.
E vedo tutte le discese a mare a piedi giù per La Chiusa, la strada che collega Pisciotta paese con la Marina, in mezzo spaccata dalla Stazione Vecchia, la strada dove passavano i vecchi binari delle ferrovie, con tanto di casello e gallerie buie che più buie non si può. Ho sempre avuto paura di passarci sotto a piedi, così imponente se ci arrivi vicino, ma col motorino, rigorosamente in due come cantava Max, passarla è un attimo e dall'altro lato c'è un gran bel spettacolo ad aspettare i più coraggiosi. Magari la fifona sono solo io!
Tornando alla Chiusa riesco a sentire quei profumi proprio adesso, e il sapore delle more che prendevo insieme a mio padre e dei fichi rubati da quell'albero che sporge lungo la strada. Da piccola proprio non mi piacevano quei frutti dai mille semini e dal siero che usciva da sotto «Attenta col latte che esce, non metterti le mani in bocca dopo!», oggi invece farei carte false per mangiarli!
E la chiesetta? Quella piccola col terrazzino avanti, dove tante volte mi sono fermata a leggere un libro, a scrivere pensieri, seduta sotto l'ombra degli ulivi e con l'aria di mare che fresca arrivava da giù.
I gradoni tutti di grandezze diverse che fai quasi più fatica a scendere che a salire, le api e i calabroni come la pece che ti sfiorano il viso e fiori e fili d'erba che si riprendono ciò che apparteneva alla natura.
E di colpo, ultimo gradino e il mare davanti ai tuoi occhi. E il porto. Pieno di scintillio... è il sole che impreziosisce col pagliuzze dorate quel selvaggio blu.
Poi di colpo i miei pensieri si sono spostati dalle passeggiate in solitaria alla caciara del periodo adolescenziale, il gusto unico dei cornetti di Franco a colazione alle 11 tutti insieme, o meglio ancora l'odore di quelli appena sfornati alle 5 del mattino dopo una notte passata con gli amici ad aspettare l'alba per poi tuffarsi nelle tiepide onde. Le giornate alla Sorgente sugli scoglioni a prendere il sole, giocare a Uno, scrivere poesie e a farsi confidenze tra amiche.
Tra ricordi, immagini, profumi che sono come le madeleine di Proust, mi godo questi pensieri con la certezza che saranno indelebili e sempre nuovi ad ogni incontro con la 'mia' Pisciotta.

Manu


























(Fonte: Emanuela Napoli Photo)
(Tutti i diritti riservati ©)


lunedì 5 maggio 2014

Un anno. Restart Again

Una pagina bianca, di nuovo.
Dopo più di un anno ho aperto una nuova pagina bianca.
Già passato un anno? Come vola il tempo, davvero.
Un anno.
Cosa è cambiato? Tutto e assolutamente niente.
Io sono ancora qui, nella mia camera di sempre, nel posto di sempre, con la voglia (forse) di scrivere
ancora.
Maggio.
C'è sempre questo mese per mezzo quando si decide di fare qualcosa. Dovrebbe essere quasi estate e invece mi sembra di essere tornati a Novembre. Il sole non scalda, piove, tira vento e odio dover mettere ancora cappotti, giubbini e mantelle. Voglio il sole che brucia sulla pelle, dov'è?
L'estate è passata svelta. Si sa, quando fai le cose che ami il tempo decide che non c'è tempo.
Un paio di pinne, una maschera e via nel mare dalle 50 sfumature di blu a fare snorkeling tutto il tempo. Arrivo in spiaggia, come dicono dalle mie parti "all'ora dei signori", alle 12, e via dritta in acqua.
Non importa quanto scotti la sabbia, non importa quanto freddo sia il mare, l'importante è tuffarsi e iniziare a nuotare. Lontano. E far fluire i pensieri insieme al movimento dei piedi, sentirsi un pesce, sapere che saresti stata una perfetta Sirenetta, in fondo è sempre stata quella la favola preferita da piccola.
Sentirsi emozionati e stupiti dalle meraviglie attorno, non solo sabbia e acqua, no. Ma pesci, conchiglie, ricci, polipi, vegetazione. Dai mille colori, proprio come il tuo 'amico', la Donzella Pavonina, soprannominata Flounder (guarda un po') che sembra seguirti e in fondo quasi ci credi.
Poi l'estate passa tra tutte quelle foto e cene in famiglia, tra sorrisi e nervosismi, rumore del mare e le tue canzoni.

E arriva l'inverno (winter is coming)... e c'è una grande soddisfazione: una mia foto selezionata per la mostra Luce sull'Arte, al Museo Diocesano di Salerno, esposta per un intero mese.
 Da qui una nuova avventura è alle porte: il corso di fotografia, che mi carica e mi dà la giusta spinta, una reflex per Natale, nuove amicizie e pochi attimi di serenità. Oggi è anche l'ultimo giorno di questo percorso, sperando in nuovi orizzonti da scrutare.
Un mese fa una mia cara amica si è sposata. Tra emozioni e ricordi di tutti gli 11 anni passati insieme è stato un giorno bellissimo. Ora anche lei è 'lontana' nella sua nuova casa a Napoli, e sono tanto felice per lei che sta realizzando i suoi sogni!
E mi chiedo: quali sono i miei? Da quando sono tornata, ormai due anni fa, piano piano tutte le certezze che mi ero costruita e i sogni da seguire sono andati in frantumi, ma poco per volta, come a dissolversi.
E ancora una volta mi ritrovo qui, seduta al solito posto, a chiedermi qual è la mia strada. E ancora una volta so soltanto quello che non voglio, non voglio restare qui ancora a lungo. E sì, voglio il mare attorno a me, l'unica cosa che mi rende non felice, ma serena, in pace con il turbinio di emozioni che ho dentro e vuole uscire fuori, ed esce fuori tutte le volte che mi fermo, per chiedermi cos'è che avrei potuto fare, com'è che quell'amicizia, qualcuno dirà l'ennesima, si è spezzata, la colpa è mia? Coi miei occhi la risposta è no, ma forse mi sbaglierò. Un'altra cosa che so è che sono stufa di quello che c'è qui, di come stanno andando le cose, di come sono costretta a vedere persone che non mi arricchiscono, che non fanno altro che farmi disprezzare la società di oggi, e persone che hanno dimenticato com'era e com'erano quando avevano la mia età: liberi. E felici. Esattamente l'opposto di quello che mi rendono.
Ma non è tristezza la mia, è solo fastidio.
E rabbia.
E voglia di andare via che però mi fa restare ferma.


Manu

On Air: In ogni istante - I Rio



































(Fonte: web)